Pillole di Storia fidardense

a cura del Dott. Renzo Bislani

1920 – VINCENZO FABBRI: da organettaro, autiere, autista a titolare di autolinea

IL PERSONAGGIO. Vincenzo Fabbri nasce a Castelfidardo in via Settimio Soprani n.12 il 18 gennaio del 1920 da Americo (da cui il soprannome di Vincé de Mericò) e da Aspasia Taffi. Alla base del cognome è il mestiere di “fabbro”, anche se il nostro Americo è un cantiniere. Vincenzo deriva dal latino “vincens” cioè il vittorioso. Se si legge il casato in “faber” e si unisce al nome vittorioso, ecco l’auspicio del nostro personaggio:  uomo che costruisce con ingegno, che crea con successo. Nella vita non mancano però i momenti bui e di sofferenza e Vincenzo non ne è esentato. In casa Fabbri, dopo Vincenzo, arriva Dionea che sposerà Orlando Fabi è assumerà la gestione prima della cantina e poi del noto ristorante. Poi verranno alla luce Lamberto ed ultimo Aurelio.
Vincenzo va giovanissimo a lavorare come organettaro nella fabbrica di Borsini. Dopo il militare tenta la carriera del calciatore, poi preferisce gestire la propria azienda di autolinee. Conosce una bellissima ragazza castellana, Sonia Cialabrini, che sposerà il 28 aprile del 1951. Ha da lei la figlia Paola. E’ devoto di Padre Pio. Vivrà tra la stima e la benevolenza di tutti, castellani ed osimani e oltre, per la sua grande professionalità, positività, simpatia, allegria e spirito di avventura fino a 85 anni.

L’AUTIERE.  E’ lo stesso Vincenzo a raccontare ora la sua vita negli anni di guerra: “Appena chiamato alle armi fui mandato al Centro automobilisti di Torino. dove fui colto dalla dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940. Ricordo ancora il primo bombardamento: noi dalla caserma vedevamo Io spettacolo degli aerei volteggiare nel cielo ed i duelli dei caccia, tanto che inizialmente pensavamo che si trattasse di ma­novre ed esercitazioni, invece eravamo entrati bruscamente nel clima della guerra. Dopo alcuni giorni, venni inviato con il 26° reparto pesante sul fronte francese dove però rimasi pochissimo tempo perché come è noto, questa campagna di guerra ebbe breve durata. Eravamo dotati di autocarri OM-Bianchi e Fiat, 626 ed eravamo alle dirette dipendenze del comando della 4° armata.

Successivamente con tale reparto venni mandato in Jugoslavia e precisamente a Zara dove rimanemmo per sei o sette mesi spostandoci in varie località: Livno, Imostki e Makarska.

Alla fine di giugno del 1941 fummo richiamati in Italia a Villa del Nevoso dove ci rimisero a nuovo dotandoci di autocarri Lancia 3R0 e ci mandarono al seguito del CSlR sul fronte russo. Partimmo alla fine di agosto del 1941 e fummo i primi a raggiungere il posto di raduno a Faiticeni. località al confine della Romania e l’Ungheria. Della partenza per la Russia, ricordo che ci facevano spostare sempre di notte e che quando fummo dalle parti di Tarvisio ci fu un attentato alla nostra tradotta: un sabotaggio dì ignoti sulla linea ferroviaria che per nostra fortuna non produsse gravi  conseguenze ma soltanto ritardi.
Sul fronte russo il nostro compito era di portare rifornimenti di vario genere: viveri e   munizioni, rinforzi di truppe alle divisioni Pasubio, Torino e Celere che  costituivano il contingente italiano e spesso per raggiungere i nostri reparti dovevamo aprire nuove piste nell’immensità della steppa dove non c’era una linea di fronte precisa tanto che spesso rischiavamo di sconfinare in territorio nemico. I nostri rapporti con i civili erano ottimi specialmente con noi autieri che trasportavamo i rifornimenti e spesso cercavamo di aiutare quella povera gente con un po’ di farina, un po’ di  zucchero o con della nafta per il riscaldamento. Meno buoni erano i nostri rapporti con gli alleati tedeschi.

Il più grande nemico di noi autieri era il fango: appena pioveva appena un po’ le piste diventavano impraticabili e noi dovevamo far miracoli per assicurare i rifornimenti ai nostri reparti più avanzati. A Dniepropetrowsk ci raggiunse la prima neve e le difficoltà aumentarono ancora, ma riuscimmo sempre nel nostro compito e ricevemmo per questo un encomio solenne dal generale Messe.
Nel luglio 1942 fui colpito da un attacco di ernia e venni ricoverato in un ospedale da campo. Il mio caso fu considerato urgente e venne disposto il mio rientro in Italia su TA.

Questo timbro posto sul documento di rimpatrio significava che esso doveva avvenire su treno attrezzato.
Appena dimesso dall’ospedale  militare di Udine fui trasferito al 63° auto gruppo pesante che si stava formando a Carmagnola nei pressi di Torino per essere inviato in Francia alle dipendenze della 4a armata che presidiava la Provenza egli altri territori occupati dagli italiani. Per questo, l’8 settembre 1943 mi trovavo nella città di Grenoble: lì ero autista della Fiat 1100 del comandante del mio reparto. Ricordo  che c’era l’ordine di rientrare in Italia ed io ero pronto a portarlo a Torino con tutti i bagagli già caricati sull’auto. Stavamo per partire quando venne l’ordine di andare subito al quartier generale italiano. Lungo il viale di accesso al nostro comando notai dei soldati tedeschi disposti lungo la strada e quando il mio comandante usci dalla riunione presso il comando, due di questi soldati armati di mitra salirono sul predellino dell’auto, uno a destra ed uno a sinistra e ci arrestarono. Nel contempo avevano catturato tutti i nostri compagni. Mentre ci portavano via, si sentiva sparare per le vie della città. Da Grenoble ci fecero fare 42 km di marcia a piedi il primo giorno ed altrettanti il secondo giorno. Noi del corpo automobilistico non eravamo abituati alle marce come quelli della fanteria ed io non ce la facevo più. Un ufficiale austriaco della Wehrmacht ebbe pietà di me e mi fece stendere sopra una cucina da campo che era a rimorchio del convoglio. Stavo in una posizione molto scomoda, ma almeno non dovevo marciare.
Ci portarono a Rouen in Normandia dove ci fecero scavare rifugi ed opere militari per le fortificazioni. In questa zona un giorno potei contattare un oste egli dissi se c’erano italiani nei dintorni.  Con grande mia sorpresa  mi disse che anche lui era italiano e fui ancora più sorpreso quando mi disse che aveva la possibilità di farmi fuggire tramite la Resistenza francese. Mi condusse con aria furtiva sul retro del suo locale e mi consegnò degli abiti da contadino francese,camiciotti senza bavero per me e per i miei compagni, uno era di Roma e un altro  di San Benedetto del Tronto. Ci indicò anche una collina dove all’indomani avremmo potuto incontrare un uomo con una bicicletta che ci avrebbe aiutato nella fuga. Nascondemmo gli abiti dentro dei mucchi di fieno in un campo vicino alle nostre baracche e appena fu possibile io ed il mio compagno di Roma sostituimmo i nostri abiti militari con quelli dell’oste, sfuggendo al controllo dei tedeschi; l’altro nostro compagno di San Benedetto non ebbe il coraggio e non volle seguirci. Arrivati sulla collina però non trovammo nessuno all’appuntamento.  Rimanemmo a lungo nella zona, ma nel timore di essere scoperti ci spostammo per nasconderci meglio. Faceva notte e così cercammo rifugio in un casa di campagna che per nostra fortuna  era sede di un comando del FFI che era l’organizzazione dei partigiani francesi. Qui ci fecero mangiare e ci nascosero facendoci dormire fra balle di paglia.
L’indomani ritornammo sulla collina e finalmente trovammo il nostro contatto: l’uomo con la bicicletta che ci consegnò due corte zappe da giardiniere che si addicevano al nostro occasionale abbigliamento. Ci disse anche di seguirlo tenendoci alla distanza di circa 200 metri e di fingere lavori lungo il bordo della strada se sentivamo il rumore di un automezzo. Fummo condotti in una grande fattoria e confusi con il personale addetto ai lavori agricoli. Ci dissero che le SS ci avevano cercato per due giorni e per due notti dopo la nostra fuga e ci rendemmo  conto solo in quel momento di essercela cavata con molta fortuna.
Un giorno venne un gendarme francese alla fattoria e chiese le generalità dei lavoratori italiani presenti. Io, improvvisando, dissi di chiamarmi Bartalini Gino contraffacendo il nome del nostro campione di ciclismo. Ci trovavamo non lontano da Parigi e avendo un po’ persa la tranquillità dopo la visita del gendarme, mi recai nella capitale dove presi contatti con una missione cattolica italiana che si trovava in Rue de Montray. Rimasi sorpreso di quanti italiani sfuggiti ai tedeschi si trovassero nascosti presso la missione.

Poiché notai che i rifugiati erano trattati molto bene, decisi di lasciare con il mio compagno di Roma la fattoria dopo aver avvertito per correttezza i proprietari che rischiando la loro vita che ci avevano fino ad allora ospitati e protetti. E così a Parigi vissi l’ultimo periodo prima della Liberazione e, incredibile a dirsi, trovai anche lavoro. Infatti, prima di partire per Ia guerra, lavoravo in una fabbrica di fisarmoniche e trovai un lavoro di montaggio dei vari componenti delle fisarmoniche che arrivavano  smontate dall’Italia. Quando giunsero gli Americani rimasi ancora un po’ di tempo in Francia perché mi trovavo bene. Rientrai in Italia solo nell’ottobre del 1945” (Invitiamo i lettori a leggere il libro di Alberto Recanatini, L’ultima tradotta. Testimonianze di deportati in Germania dopo l’8 settembre 1943).

IL GIOCATORE DI PALLONE. Castelfidardo, liberata dalle truppe polacche nel luglio del ’44 dall’occupazione tedesca, riprende poco alla volta i suoi ritmi quotidiani. Riaprono le  fabbriche di strumenti musicali. Il lavoro c’è e la fisarmonica ha il suo boom commerciale grazie anche agli emigrati in USA che ne hanno consentito una diffusione a macchia d’olio. Solo nel ’46 si costruiscono 45.410 strumenti per un ricavo record di circa 624 milioni. Si anticipa il cosiddetto modello economico marchigiano, un vanto della regione. Questo ritorno graduale alla normalità è sotto gli occhi di tutti. In un clima di ritrovata tranquillità i giovani riprendono le vecchie passioni, il calcio su tutti con una gradita sorpresa: il nuovo campo sportivo al rione Buozzi nel frattempo costruito.  Fatto il campo, Gilberto Bugiolacchi ed altri amici si mettono a lavoro per approntare in un immediato futuro una squadra. Molti ex giocatori sono ancora militari, ma ormai stanno tornando a casa. E’ solo questione di mesi. Siamo agli albori della nascente Unione Sportiva Castelfidardo.

Nella stagione sportiva 1946-47, il Castelfidardo inizia la sua attività agonistica nel campionato di Prima Divisione. La fase di pre-campionato viene seguita ancora dal tecnico Cesare Ficosecco, lo stesso del periodo pre-bellico. Poi, proprio al ridosso del primo campionato la guida viene affidata a Mario Puccini, anconitano sfollato, direttore del dazio. La formazione è ampia con alcuni rinforzi della vicina Osimo ed Ancona.  La formazione tipo è la seguente: Ottavianelli, Vincenzo Fabbri (il treno), Guglielmo Astolfi, Vincenzo Cialabrini (Pistò), Alberto Piatanesi (Fracossì), Matassoli, Bartoloni, Ghirardelli, Pompilio Malizia, Enrico Strongaronne.

Vincenzo terminerà la sua avventura calcistica quasi subito, oberrato dai nuovi impegni di lavoro. Il 9 aprile del 2005 l’Assessorato allo sport del Comune di Castelfidardo, in occasione dell’inaugurazione del campo sintetico, gli attesta un ultimo riconoscimento: La Città di Castelfidardo, a Vincenzo Fabbri che ha avuto l’onore di calcare il Comunale costruito dagli Alleati nel 1944”.

L’AUTISTA E IL TITOLARE DI AUTOLINEA. Dopo le prime esperienze lavorative in fabbrica nel settore delle fisarmoniche, Vincenzo è stato costretto ad allontanarsi da Castelfidardo per espletare il servizio militare. Tornato a casa con una visione della vita completamente cambiata, non se l’è sentita di riprendere il suo vecchio lavoro, poco creativo e gratificante, e , facendo tesoro dell’esperienza “forzata” di autiere ha cercato di mettere a frutto ciò che sapeva fare meglio e che lo soddisfaceva. Non avendo possibilità di lavoro come autista dipendente ha pensato di creare ex-novo la sua futura attività e, constatando la totale assenza di collegamenti tra Castelfidardo ed i centri limitrofi, li ha realizzati lui: ha comprato un camioncino FIAT 501, attrezzato con panche in legno, ed il 4 Aprile 1946 ha incominciato, con pochi soldi ma tanto entusiasmo, la sua attività di autista di linea sulla tratta Castelfidardo – Osimo stazione – Osimo centro. In considerazione dei buoni risultati conseguiti e la soddisfazione degli utenti, dato che l’autoservizio di linea era praticamente l’unico mezzo di comunicazione regolare tra i due paesi, nell’ Aprile 1947 il Ministero dei Trasporti ha concesso a Vincenzo l’autorizzazione ufficiale ad effettuare il servizio di linea Castelfidardo – Osimo stazione.
Era la prima tappa importante verso la creazione di una ditta di autolinee! Il vecchio camioncino, infatti, è stato sostituito da un mezzo più grande, anch’esso dotato di scala, di panche in legno e ricoperto da un telone, ed affiancato in breve tempo da un’altra corriera. Nel giro di due anni, Vincenzo, era in possesso di due vecchi autobus, un FIAT SPA ed un FIAT 621. Il lavoro era diventato più impegnativo del previsto e Vincenzo ha ritenuto opportuno ricorrere all’aiuto di altri autisti. Non ha dovuto cercare lontano: ha fatto la proposta ai suoi fratelli Lamberto ed Aurelio, che lavoravano in una fabbrica di fisarmoniche, ed essi hanno accettato con entusiasmo. Così, insieme hanno dato vita alla Ditta di Autolinee F.lli Fabbri.

 

Le cose procedevano bene ed i collegamenti di linea erano diventati ormai indispensabili, così il Ministero dei Trasporti ha riconosciuto alla ditta appena formata altre concessioni di linea e l’autorizzazione ad espletare anche viaggi turistici.
La nuova attività richiedeva tanto impegno e tante spese, ma la caparbietà e l’abnegazione dei tre fratelli per il lavoro hanno fatto sì che le difficoltà venissero superate.

1947 – Gita a Verucchio (RN)

Ognuno svolgeva il “suo” lavoro, senza badare agli orari ed alla remunerazione: Vincenzo effettuava viaggi turistici, soprattutto in Italia ma anche in Europa, Lamberto provvedeva a svolgere i collegamenti tra Castelfidardo ed Osimo, ad Aurelio, oltre alla linea Castelfidardo – Osimo stazione, era affidata la manutenzione e la pulizia degli autobus.
Il lavoro instancabile dei tre fratelli, fatto anche di sacrifici, ha portato l’azienda a distinguersi per l’accuratezza del servizio, l’efficienza degli autobus, la precisione negli orari e nei percorsi, la preparazione del personale assunto in seguito, la costante preoccupazione per la sicurezza e per la soddisfazione dell’utenza. Nel giro di pochi anni, la Ditta F.lli Fabbri ha perfezionato un Trasporto Pubblico Urbano nel territorio di Castelfidardo ed un Servizio Extraurbano con collegamenti di sedici coppie giornaliere per studenti, operai e passeggeri, effettuando anche un Servizio Stagionale di collegamento con le vicine località balneari.

Per l’assiduità e l’accuratezza del servizio, la ditta ha sempre ottenuto la fiducia dell’utenza, nonché riconoscimenti ufficiali. La ditta, infatti, nel suo piccolo, ha contribuito soprattutto con i suoi viaggi turistici a far conoscer in Italia ed in Europa la sua città e continua a farlo con sempre maggiore convinzione, tanto che nel pullman acquistato di recente ha fatto riportare sulla carrozzeria l’immagine del Monumento, simbolo di Castelfidardo.

Il 12 luglio 2005 all’età di 85 anni Vincenzo ci lascia…